Renato Barilli :
•Bologna 18 agosto 1935. Critico letterario, critico d’arte. Ordinario al DAMS di Bologna. Studi su Giovanni Pascoli, Luigi Pirandello, Italo Svevo, Gabriele D’Annunzio. Ha preso parte alla neoavanguardia degli anni Sessanta, culminata nel Gruppo 63. Come critico d’arte ha storicizzato le esperienze d’avanguardia, dalla pop art alla body art.
• «Fin da bambino agognavo la socievolezza» (ad Antonio Gnoli) (la Repubblica 18/8/2013).
• Dopo l’iscrizione a Ingegneria e «una meningite virale che fiaccò le mie difese intellettuali», si iscrisse a Lettere, dove conobbe e frequentò Luciano Anceschi: «La cosa importante che ho appreso è che una teoria più che imporre dogmi deve liberare da quelli esistenti. Fu splendido, anche se sfibrato dalla beghe accademiche. Peccato che soffrì di un invecchiamento precoce. A lui, in parte devo, le distanze che presi dal cosiddetto marxismo letterario (…) Posso vantarmi di aver sentito fin da subito un’avversione per l’“impegno”. È stato naturale in seguito dar vita al Gruppo 63. Lukács era la nostra bestia nera: il richiamo all’ordine e l’esaltazione delle classi popolari. Chi da noi se ne fece interprete stucchevole fu Vasco Pratolini. (Il nostro successo) dipese dal bisogno di svecchiamento. Non se ne poteva più del bello stile toscaneggiante. Come neoavanguardia non abbiamo inventato nulla» (ad Antonio Gnoli)
• Agli inizi degli anni Settanta, con l’aiuto di Argan, diventò docente dell’Istituto bolognese di Storia dell’Arte
• Ammiratore di Craxi: «Vidi in lui un leader e una speranza per il Paese. Mi sbagliavo. Politicamente sono sempre stato un socialdemocratico. E per questo gli amici del Gruppo 63 mi sottoposero, già allora, a una specie di processo, dal quale uscii indenne. Sono stato per il Psi responsabile nazionale per le arti. Ho tentato di fare qualcosa in quella direzione anche se, lo devo ammettere, talvolta ne ho approfittato per proporre le mie mostre»
• «Sono stato tra i primi ad occuparmi di videoarte, forse il primo in assoluto, nel 70, ad andare a trovare gli artisti nei loro studi o a portarli en plein air, con una esigua squadra di tecnici imprestatimi dalla Philips, per riprendere direttamente su nastro, con telecamere amatoriali, le loro operazioni. Già nel 1986 ho tenuto, alla Besana di Milano, una mostra intitolata Arte e computer, questo a riprova che non arretro di fronte ad alcun passo innovativo. Però non credo neppure che ciascuno di questi passi sia irreversibile e costituisca un punto di non-ritorno. Ora, per esempio, l’eccesso di videoarte che ci circonda francamente mi annoia, semmai mi piacciono quelli che ci danno delle specie di cartoni animati; e anche l’invasione dei siti internet mi lascia perplesso e poco appagato» (a Paolo Giuliani, gennaio 2008)
• Lamenta di non essere mai citato: «Sento solo il silenzio attorno a me. Che è l’arma più subdola. Non mi stroncano neppure, mi ignorano»
• «Ritengo di essere l’autore che, nonostante una produzione di ormai sessant’anni, viene più di frequente omesso. Con un pizzico di divertimento mi definisco ormai come un calviniano “critico inesistente”. Ma in fondo, lo ammetto, in tutto questo ci può anche essere una punta di vanità e di egocentrismo» (ad Antonio Gnoli).
(a cura di Lauretta Colonnelli).